Si segnala una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione (Cass. pen., Sez. IV, 26.10.2020, n. 29584) nella quale la Suprema Corte torna a pronunciarsi sulla responsabilità da reato dell’ente collettivo ai sensi dell’art. 25-septies d.lgs. 231/2001.
La vicenda prende le mosse da un incidente avvenuto ai danni di due lavoratori che, saliti sul tetto di un capannone industriale durante l’esecuzione di alcuni lavori, precipitavano dall’alto a seguito del cedimento di due pannelli, riportando delle lesioni.
In punto di responsabilità dell’ente, la sentenza conferma i precedenti orientamenti maturati in relazione ai criteri di imputazione della responsabilità dello stesso, ossia i requisiti dell’interesse e del vantaggio richiesti dall’art. 5 d.lgs. 231/2001. In primo luogo, la Corte ricorda che si tratta di requisiti alternativi e ben distinti: l’interesse fa riferimento alla direzione finalistica della condotta del reo, ha pertanto natura soggettiva e viene valutato ex ante; il vantaggio, invece, ha natura oggettiva e deve essere valutato ex post, sulla base delle concrete conseguenze derivate dalla realizzazione dell’illecito. In secondo luogo, i giudici di legittimità rammentano che, con riferimento ai reati colposi, tali requisiti debbono essere valutati avendo riguardo non all’evento verificatosi, bensì alla condotta tenuta dal soggetto agente. In terzo luogo, la Corte rievoca alcuni fattori rappresentativi di un interesse o di un vantaggio per l’ente collettivo: il risparmio di spesa; l’aumento della produttività, agevolata (o non rallentata) dal mancato rispetto della normativa prevenzionale; il risparmio sui costi di consulenza o di formazione del personale.
All’esito di questo quadro riepilogativo, la pronuncia si sofferma sul “criterio moderatore” della sistematicità della violazione che sembra aver fatto breccia in alcune pronunce di legittimità, con l’effetto di arginare l’ambito applicativo dell’art. 25-septies d.lgs. 231/2001. Muovendo dal presupposto che la sistematicità della violazione non è richiesta dalla disposizione richiamata, afferma la Corte che “è eccentrico rispetto allo spirito della legge ritenere irrilevanti tutte quelle condotte […] non espressive di una politica aziendale di sistematica violazione delle regole cautelari”. Tale assunto si fonda sulla previa attribuzione al requisito della “sistematicità” di un valore solamente probatorio e non costitutivo dell’esistenza di un interesse per l’ente. Pertanto, tale criterio di imputazione della responsabilità ben potrebbe sussistere anche in assenza di una violazione sistematica, purché la sua esistenza sia provata da altri elementi fattuali. Conclude invero la Corte affermando che “l’interesse può sussistere anche in relazione ad una trasgressione isolata, allorché altre evidenze fattuali dimostrino tale criterio finalistico, così neutralizzando il valore probatorio astrattamente riconoscibile al connotato della sistematicità”.
Responsabilità da reato dell’ente collettivo
Pubblicato in Modello 231, Sentenze.